Sunday 29 January 2017

Dallo scienziato a Facebook


Hai presente il telefono senza fili, quel giochino che facevamo da bambini, in cerchio, in cui il primo sussurrava qualcosa nell'orecchio dell'amico vicino, che a sua volta sussurrava quello che aveva capito all'amico accanto e, via dicendo, fino alla fine? Quando l'ultimo bambino ripeteva a alta voce la frase, di solito era una cosa buffa, praticamente inventata, che poco (e più spesso nulla) aveva a che vedere con la frase originale.
Ecco: il primo bambino è lo scienziato intervistato, l'ultimo il post di facebook che tanto piace lik-are e condividere; nel mezzo tutta una serie di giornalisti, persone non del settore ma che si ritengono informate, gente comune, qualche troll. 
Vogliamo fare un esempio pratico che infuoca gli animi di tutto il mondo e che a me, invece, onestamente, sta iniziando a diventare pesante e noioso come un macigno monocromo? Il caso Wakefield e il suo pluricommentato articolo sul presunto legame fra vaccini a autismo.
Il paper originale, poi ritirato da Lancet, dichiarava una presunta correlazione fra il vaccino trivalente MMR e autismo. Il trial era ridicolo, c'erano conflitti di interesse, comportamente non etico,  i dati erano falsificati ecc ecc. 
Il punto che mi preme sottolineare è che nemmeno lui dichiarava una correlazione tout-court fra vaccini e autismo, ma solo fra quella specifica formulazione, di quello specifico vaccino trivalente, somministrato in quegli anni in Inghilterra e l'autismo. Il suo vaccino monodose, appena brevettato, era dichiarato sicurissimo. Per esempio. Queste dichiarazioni, false, sono passate di bocca in bocca, complici mezzi di diffusione di massa, meccanismi di creazione di panico collettivo e complottismi, per arrivare all'equivalente fine anni 90 del meme di facebook: i vaccini causano autismo.
Se si vuole ripassarsi tutta la storia, questo fumetto è un buon punto di partenza.
Un altro esempio? il bicarbonato cura il cancro. Qualche tempo fa, ho assisto a un talk del tipo che, fra tanti, ha involontariamente contribuito alla diffusione di questo falso mito. Nei suoi studi aveva trovato che la basificazione dei certi tessuti tumorali poteva portare alla regressione di certi meccanismi di proliferazione. Era un "proof of concept" lecito: i tessuti cancerogeni di solito hanno un pH leggermente più acido del resto del corpo. Aveva questi dati in una diapositiva all'interno di una presentazione esaustiva di imaging diagnostico, durante una intervista con una rete nazionale. L'unica cosa che venne riportata fu sta cosa del bicarbonato, ultrasemplificata, che poi si è tradotta in: il bicarbonato cura il cancro e non ce lo dicono perchè così possono fare i soldi sulle medicine. E su questo argomento, che mi sta particolarmente a cuore, per motivi personali ancor prima che professionali, non mi stancherò mai di ripetere che uccidere il cancro è facile (basta un po' di varichina), il problema è uccidere il cancro e lasciar vivo il paziente.
Mi fermo, ma ci potremmo fare una serie a puntate su credenze simili, che nascono da un errore di comunicazione fra vertici e base. Volete le puntare? Siti che provano a spiegare e far luce si sprecano: da Bufale un tanto al chilo a MedBunker. Sennò chiedete, ne ho in serbo varie, che spaziano dall'olio di palma, al grano avvelenato, passando dall'OMG, i pesticidi, le radiazioni e l'omeopatia. Solo che sono molto lenta a scrivere. 
Ora, io non credevo ci fosse la necessità di questo post, e forse in effetti non c'è, ma sono rimasta colpita dal putiferio che l'affermazione del Dr Burioni, letteralmente "la scienza non è democratica" ha creato, e ho sentito di dover dire la mia. No, la scienza non è democratica, non nel senso che non
deve essere data la possibilità a chiunque di capirla, ma nel senso che i dati sono dati, e rimangono tali anche quando ci danno torto. Chiunque faccia ricerca, conosce bene quella frustrazione, di avere le tue convinzioni negate dai dati sperimentali, e la fatica di superare la tendenza, umanissima, di volerci leggere quello che ci piace di più.
Infine una riflessione: quanti soldi devono essere spesi per provare e riprovare quello che è già stato provato e assodato, allo scopo di convincere i complottisti? Non sarebbe meglio spenderli altrove, quei soldi? Se non si fosse inteso la ricerca costa assai, cose da scoprire ce ne sono ancora a bizzeffe e non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.
Per tornare al punto del post, e cioè sulla difficoltà di comunicazione fra scienziati e non, vorrei chiedere a chi è arrivato a leggere fin qui, un paio di favori: 1) insegnate a noi scienziati il modo migliore per comunicare con voi, i non addetti ai lavori e 2), ancora più importante, ponetevi da ora in avanti il problema non tanto di verificare le fonti, che dovrebbe essere dato per scontato, ma di verificare che "la traduzione" da linguaggio tecnico a linguaggio comune sia corretta. Inutile girarci tanto intorno: una notizia di una possibile cura riportata da Nature o dal sito NelNomeDellaDea (me lo sono inventato, ma ci sta che esista) ha, per forza di cose, due pesi diversi. E son pronta a scommetterci dei soldi che, se di cura miracolosa e complotto di parla, sarà nel secondo. Inutile anche sottolineare che per tradurre il linguaggio tecnico in linguaggio comune è necessario semplificare, ma se si semplifica troppo, ritocca per cercare lo scandalo, taglia e riattacca, e decontestualizza, alla fine magari un fondo di vero in quella notizia c'era, ma ci per come è riportata ci corre come fra scienza e fantascienza (o culo e le 40ore, come più vi aggrada).

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